15 aprile 2001 STORIE, RACCONTI E MEMORIE DI INVERNI DIFFICILI
Le consistenti precipitazioni e l’instabilità climatica che hanno contraddistinto la stagione invernale che si sta esaurendo hanno suscitato discussioni e interesse e riportato la memoria agli inverni più nevosi e difficili del secolo ventesimo. E’ una costante sentire raffrontare l’inverno scorso con quello assai nevoso e tragico dell’anno 1951 riconosciuto da chi l’ha vissuto come eccezionale per lo spessore raggiunto dal manto nevoso e per il precipitare a valle di valanghe che provocarono distruzione e morte. Più rado, perché più in là nel tempo e perciò meno presente alla memoria, il ricordo e quindi il raffronto con un inverno particolarmente difficile e abbondante di neve riportato costantemente dalla bibliografia che descrive gli eventi bellici vissuti nel bormiese tra gli anni 1915 e 1918: l’inverno 1916-1917.
Gli eventi sui campi di guerra
Già all’inizio di novembre mentre in valle piovve, in quota nevicò abbondantemente. “Il giorno 10 una valanga alle Rese travolge parecchi soldati del 49E Fanteria, tra essi tre vittime. Le nevicate si susseguono l’una all’altra, poi il 13 dicembre pioggia e temperatura sciroccale provoca un improvviso scivolamento di nevi e conseguenti valanghe. La notte del 14 fu memorabile per il gran numero di esse. Dalla III alla I Cantoniera una valanga segue l’altra e la strada ne è tutta ostruita; però qui per fortuna nessuna vittima. Una valanga invece a Bosco Piano travolge una ventina di operai di cui cinque rimangono sepolti nella neve. In valle Zebrù un’altra valanga investe diversi soldati. Sono vittime un tenente e due soldati della M.T. due alpini e un caporale di artiglieria. In Gavia pure una valanga travolge una baracca precipitando a valle qualche mulo.” (Viazzi-Martinelli)
La valanga di Pradelle a Semogo
Un fatto tragico accade a Semogo il 13 dicembre 1916. E’ ricordato ripetutamente nella bibliografia dell’epoca, ma lo riporta con particolare vigore un semoghino emigrato pochi anni dopo in terra bresciana, Luigi Apollonio.
“A memoria d’uomo non era mai scesa nella località Pradelle una valanga. Da due giorni e due notti la neve era caduta, e continuava a cadere sovrapponendosi alla già esistente, provocando una situazione d’emergenza. La popolazione era mobilitata a puntellare le case all’interno per evitare il crollo dei tetti, persone sui tetti medesimi per alleggerire l’insolito abbondante carico gettando parte della bianca coltre nelle strade sottostanti. Fu l’anno della neve quel millenovecentosedici, il secondo della guerra quindici-diciotto, che aggiunse alle vittime delle azioni propriamente belliche sui vari fronti dallo Stelvio a Trieste, quelli delle valanghe. Anche Semogo ne fu particolarmente colpito. Nel pomeriggio del 13 dicembre, verso le ore 15, un boato scosse il paese. Verso levante , più che vedere si sentì il terribile rumore del precipitare della massa nevosa sul cui percorso due fabbricati furono travolti. Fu una mobilitazione di uomini che, capeggiati dal Parroco, si portarono sul luogo con badili, picconi, lampade e torce perché s’era fatto talmente buio come se fosse notte fonda. Nella prima casa solo il fienile era stato spazzato via, facendo crollare il soffitto della stalla costituito dal pavimento in legname del fienile stesso. Furono estratte cinque mucche vive ancora in buono stato, perché al momento del crollo erano coricate, cosicchè il soffitto tutto di travi ed assi, crollando formò loro un riparo, mentre altre che erano in piedi fu necessario dissanguarle in loco perchè schiacciate. Ma più grave si presentò la situazione a monte. Qui tutto il bestiame morì nel crollo del fienile e della stalla e dal fabbricato civile furono trascinati a valle il tetto e due stanze, mentre crollò pure la volta della cucina perchè costruita in muratura, anzi da quel mucchi di macerie e nevischio proveniva uno strano rumore. “Coraggio gente” suggeriva il Parroco che maneggiava una torcia, facendo luce a coloro che si avvicendavano nel rimuovere il materiale “sotto ci deve essere la ragazza che accudiva al bestiame, sembra di sentire dei gemiti, forse è ancora viva, coraggio”. Ma dopo pochi minuti di febbrile lavoro, dai detriti di calcinacci misti a ghiaccioli, schizzò fuori un gattino che probabilmente era in grembo alla padroncina, il corpo della quale, curva su se stessa lo aveva protetto, e di tanto in tanto emetteva dei miagolii, tanto da trarre in inganno i soccorritori che con i loro sforzi accelerati avevano liberato, mentre per Anna (Sosio) così il nome della ragazza di 16 anni. non c’era più nulla da fare. Era schiacciata e orribilmente sfigurata. In una casa fuori dal tragitto della valanga, fu trovata una scala a pioli, ove mani pietose deposero il martoriato corpo per poterlo più che portarlo, trascinarlo fino in paese, dove allarmati erano ad attendere madre e fratelli più piccoli, mentre il padre era salito sino al casolare distrutto, testimone oculare della tragica disgrazia... Tutto il paese prese parte unanime al dolore della famiglia così crudelmente provata, perchè la morte di una persona, nei piccoli centri di montagna, tocca il sentimento di tutti, essendo il dolore di ognuno quello di tutti, come in questo doloroso caso”. 
L’inverno sul fronte austriaco.
Heinz von Lichen così narra gli avvenimenti visti dalla parte austriaca. “Il più tremendo degli anni di guerra durò ben sette mesi abbondanti. Dopo le spaventose esperienze del primo inverno di guerra, ogni soldato pensava al secondo con terrore; ma la triste realtà superò di molto l’immaginazione. Indagini meteorologiche dimostrarono in seguito che l’inverno 1916-17 fu il più rigido e ricco di precipitazioni nevose degli ultimi sessant’anni sulle Alpi... La strada del Giogo dello Stelvio restava sepolta spesso sotto 10 metri di neve e più. Nella primavera del 1917, col sopraggiungere di temperature più miti, le valanghe precipitavano rombando ininterrottamente; la strada per Sulden e per il valico, riaperte con gran fatica venivano ostruite di nuovo continuamente; non si faceva che spalare giorno e notte per liberarle. Quando per diversi giorni non si poteva pensare a riaprirle, per pericolo di altre valanghe, tutti i trasporti si facevano a spalla passando sopra i conoidi e le masse di neve indurite. Squadre intere di spalatori furono travolte da lavine; molti soldati persero così la vita, altri restarono feriti gravemente e congelati. Le valanghe, prima di superficie e poi di fondo (miste a sassi e terra) distrussero quasi l’intera rete telefonica da campo. I picchetti ad alta quota restarono completamente isolati... La “vita” negli avamposti più elevati dev’essere stata proprio inumana; gli atti conservati negli archivi confermano che tutti i ricoveri sul fronte alto dell’Ortles rimasero sepolti sotto un manto nevoso spesso dagli 8 ai 10 metri. Con tali masse di neve non si poteva far altro che scavare gallerie dalle baracche verso l’esterno. Giorno e notte due uomini stavano di guardia all’ingresso dei tunnel, anche in mezzo alla bufera; spesso occorreva dare loro il cambio ogni mezz’ora. Quei due dovevano tenere sempre sgombro l’accesso, altrimenti il vanto l’avrebbe tappato in pochi minuti, facendo morire soffocati nel sonno gli occupanti della baracca”.
VITO SOSIO
[ConteaRivista] - [Anno X] - [numero01]