15 aprile 2001 Una storia da raccontare, quella dei fratelli Gianoli di Sondalo
LA GUERRA SEPARA, LA GUERRA UNISCE
Due fratelli, l'uno alpino l'altro marinaio - complice il destino - dopo 4 anni che non si vedevano nè sapevano l’uno dove l’altro fosse, si ritrovano entrambi prigionieri in Polonia ed insieme tornano a casa. Si chiama San Valentino la piccola località austriaca a pochi chilometri dal confine italiano dove la bellezza di 55 anni fa Carlo e Francesco Gianoli - due di nove fratelli originari di Sondalo - trascorsero la cosiddetta 'quarantena' a causa del tifo contratto durante le loro vicissitudini belliche di prigionia prima di poter rientrare in Italia alla fine della seconda guerra mondiale. La loro storia ha veramente dell'incredibile; Francesco (classe 1920) e Carlo (classe 1925) l'uno soldato di leva degli Alpini nella Tridentina 5E Battaglion Tirano mentre l'altro marinaio radiotelegrafista provetto, arruolatosi volontario a Venezia Mestre, dopo il fatidico 8 settembre vengono entrambi catturati e perseguiti senza saperlo dallo stesso destino infame: quello di essere spediti nei campi di concentramento tedeschi nel nord della Polonia. Il primo uscito indenne dalla sacca di Nikolajewka, l’altro arruolatosi volontariamente e prima del tempo al richiamo di “vieni in marina, imparerai un mestiere, diventerai un uomo”, sono finiti invece nel grosso inganno dell’8 settembre 1943 che avrebbe dovuto rappresentare la libertà, la fine della guerra, ma li ha condotti nella sventura più grossa di passare 20 mesi sotto i tedeschi e 6 sotto i russi.                    Per tutti e due, infatti, due comincia un lungo e interminabile calvario tra pericoli e sventure prima di riuscire a scappare e ritornare nella loro terra, per giunta insieme: sì, perché il destino ha voluto che i due fratelli, uno alpino e l'altro marinaio, inspiegabilmente in quella terra estranea e lontana si siano incontrati . "La vita e le condizioni stremanti nei lagher tedeschi di Kiliningrad sul Mar Baltico al confine con la Lituania - racconta per primo Francesco - presto finì per l'arrivo delle truppe russe alleate degli americani che costrinsero i tedeschi, non più in grado neppure di badare a se stessi, ad aprire i campi e a lasciar fuggire noi prigionieri. Mi unii a folle disperate di gente sbandata vestito da russo, percorrendo sotto i bombardamenti di Kaliningrad anche lunghi tratti a piedi sui fiordi baltici ghiacciati. Più volte mi fermai in qualche fattoria a lavorare come panettiere, il mio mestiere, per poter mangiare, costretto poi a scappare dalle razzie tedesche. Innumerevoli gli incontri nei boschi - dove pendevano teste di impiccati - con soldati tedeschi e russi che riuscii miracolosamente ad imbrogliare grazie ad una buona conoscenza della lingua. 200 kilometri di peripezie nel tentativo di raggiungere il porto di Danzica e lì imbarcarmi. Invece riacciuffato dai tedeschi riscappo di nuovo trovando rifugio in una fattoria dove sto 15 giorni; l’arrivo dei russi i grandi bombardamenti segnano il mio destino di fuga continua”.                    Anche Carlo stava vivendo la stessa sorte nello stesso periodo, negli stessi giorni, ma su un percorso diverso. Ad un certo punto Francesco riesce a salire insieme a molti altri prigionieri in pseudo libertà su un convoglio ferroviario che dopo lo smistamento viene spezzato in due: una parte si ferma a Brombergh, l'altra, quella di Francesco raggiunge Torun. Sul treno che si ferma alla prima destinazione c'è Carlo Gianoli: “di Gianoli sul treno - gli dice un amico soldato - ce n’è anche un altro”. Così Carlo va alla ricerca del fratello a Thorun e lo aspetta di ritorno dal lavoro sulla sua misera branda. L’incontro è commovente, la contentezza indescrivibile, tutti fanno festa suonando e cantando attorno ai due fratelli ricongiunti, ma Carlo deve fare ritorno al suo campo, già febbricitante per il tifo. Ripercorriamo con Carlo le sue vicissitudini fino a incontrare il fratello. “La mia storia di prigionia a Elbing prima di ritrovare mio fratello è andata avnti per 20  mesi - racconta Carlo - lavorando in una cava di sabbia e quindi in una fonderia dove l'aria era alquanto malsana; poi arrivarono i Russi che ci liberano e scappai alla volta di Danzica. Sulle colline della cittadina mi fermai giorni a lavorare scavando trincee per un pezzo di pane poi mi rifugiai in un bunker con un'amico; un tenete russo mi salva la vita e mi regala una fisarmonica che salta in aria al mio posto sotto una raffica di mitra tedesco. Poi ci raggruppano su quel famoso treno: io avevo già contratto il tifo".                    "Dopo quella volta che rividi mio fratello Carlo - prosegue Francesco - lui si ammalò ed io cominciai a inseguirlo in varie baracche di pronto soccorso, fino all'ospedale di malattie infettive. "Mosna sastra" (permesso sorella) "Gepasla?" (dove vai) "Mi brother balnoi" (da mio fratello che è malato) ”Drogoi Gorot” (è stato trasferito in un altra città). Francesco lo raggiunge. "Kaghgila, Carlo?" (come stai, Carlo). “Riesco a stargli vicino lavorando in cucina al posto suo” racconta Francesco. Qui si inserisce forse la pagina più commovente della storia perché anche Francesco si ammala di tifo, entrambi stano veramente male, ma per fortuna una dottoressa russa che si era affezionata ai due fratelli li fa viaggiare insieme, da un camerone di ospedale all’altro e li cura a forza di punture di canfora, il vaccino di allora. Prima guarisce Carlo, poi Francesco ed insieme arrivano sul convoglio alle porte dell'Italia, in Austria, nel paese di San Valentino. Dopo la quarantena attraversano il passo del Brennero e raggiungono Pescantina, in provincia di Verona, dove i militari italiani li registrano sulla scheda di rimpatrio e danno loro 2.500 lire. Alla stazione di Milano un altro episodio particolare: Francesco, puntato dagli sguardi insistenti di un tizio che pensava di averli riconosciuti, sta per prenderlo a sberle quando quello gli fa: "Siete i fratelli Gianoli?” Era il cognato piemontese, che loro non avevano mai visto, sposatosi a loro insaputa con la loro sorella: venuto a conoscenza di un treno di prigionieri in arrivo dalla Polonia era andato per caso a vedere alla stazione di Milano se ci fosse stato qualcuno dei suoi, e c’erano. Inutile parlare, poi, di tutta la gente che quel giorno di fine novembre del 1945 era ad accogliere i fratelli Gianoli alla stazione delle corriere di Bolladore.
ROBERTA CERVI
[ConteaRivista] - [Anno X] - [numero01]